A differenza dell’interpretazione comune ed errata che si fa sul termine “decrescita”, essa non è un modo di immaginare il futuro attraverso una “crescita negativa” che riporterebbe l’uomo nelle caverne, ma attraverso una “crescita zero”, il che è ben diverso. La “decrescita felice” è una sorta di progetto politico anti-globale che si sviluppa ad una scala locale, secondo modalità dettate dalle specificità endemiche del luogo, ma che può essere esportato in tutto il mondo, rispettando le realtà locali e assumendo necessariamente caratteri di specificità dipendenti dalla natura delle realtà cui si applica.
È dunque un progetto organico che abbraccia molteplici aspetti dello scibile universale, e per quanto riguarda l’architettura, impone la realizzazione di edifici auto-sufficienti, assolutamente necessari per ottenere società eque fondate su una economia sana, conviviale e indipendente dal “mercato globale”; questa parola terrificante che ha gettato nello scompiglio gli stati di tutto l’Occidente, prontamente rassicurati però dagli stessi economisti che furono incapaci di prevedere il collasso attuale e che parlavano di ripresa mentre il peggioramento attendeva dietro l’angolo, di nuovo.
LE ORIGINI DELLA DECRESCITA
Il tema della Decrescita diventa quindi sempre più attuale, e difatti è un argomento recente, ma non nuovo. Possiamo connettere le sue radici alle utopie del primo socialismo, ma più propriamente farlo risalire ad alcune formulazioni sviluppate negli anni Sessanta che hanno messo in discussione la società dei consumi e le sue basi – il progresso, la scienza e la tecnica (CorneliusCastoradis e Ivan Illich).
IL COLLASSO DI UN’ORGANIZZAZIONE
Se la nostra società infatti ha legato il suo destino ad un organizzazione fondata sull’accumulo illimitato di beni - di per sé limitati - allora questo sistema è destinato al collasso, quando anzi non sia già collassato.
Su questo terreno, l’economista Serge Latouche fornisce validi argomenti grazie ad un’attenta critica della società capitalista contemporanea. Nella sua analisi, la società dei consumi continua il suo perverso cammino verso il definitivo esaurimento delle risorse naturali grazie a tre fondamentali elementi:
- la pubblicità – che crea il bisogno di consumare;
- il credito – che ne fornisce i mezzi;
- la veloce obsolescenza programmata dei beni – che ne perpetua il bisogno.
In questa organizzazione economica e sociale, che ci ha condotto verso la “sovracrescita”, la capacità rigeneratrice della terra non riesce più a seguire la domanda: l’uomo trasforma le risorse in rifiuti molto più rapidamente di quanto la natura non sia in grado di tramutarli in nuove risorse, ignorando che la materia si degrada "matter matters, too" come sottolineava Nicholas Georgescu-Rogen, (uno tra i fondatori della bio-economia o economia ecologica), ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche.
Prendendo in considerazione il fabbisogno di risorse naturali - energia e materia – e di superfici necessarie all’assorbimento dei rifiuti della produzione e del consumo, nonché l’impatto dell’habitat e delle infrastrutture, risulta che la superficie media di territorio bioproduttivo consumato pro capite dalla popolazione mondiale corrisponde a 2,2 ettari, eccedendo il limite massimo di 1,8 calcolato per garantire uno sviluppo sostenibile (ricerche condotte dall’Istituto Redifining Progress).
LA RISPOSTA AL PROBLEMA ECONOMICO?
Nessuno ha ancora trovato la risposta definitiva al problema economico, ma certo è che il sistema va cambiato alla radice, ovvero bisogna eradicare dalla nostra società l’idea della crescita esponenziale, impossibile e demenziale: il PIL che aumenta senza mai fermarsi ha senso esattamente come un uomo la cui crescita in altezza fosse inarrestabile. In particolare, Georgescu-Rogen, sostiene con fermezza l’impossibilità di una crescita infinita in un mondo finito e la necessità di sostituire la scienza economica tradizionale con una nuova forma di economia applicata alla biosfera che contempli la ricaduta ambientale del sistema produttivo sul pianeta.
UTOPIA? PERCHE’ NO!
La decrescita è soltanto l’utopia di un gruppo di fanatici nostalgici e romantici? No, nemmeno per sogno. Ritengo che l’unico vero limite tra la realtà e l’utopia lo stabilisce ogni giorno e ogni minuto l’individuo consapevole delle sue azioni; e dopotutto, tendere all’utopia è cosa nobile: senza l’ipotesi che un mondo migliore sia possibile, non esisterebbe neanche la politica, ma solo una squallida gestione statica dello status quo, un triste amministrare gli uomini come fossero delle cose, ed è quello che sta avvenendo ai giorni nostri.
“Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla l’unico Paese al quale l’umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un paese migliore e l’umanità di nuovo fa vela.” (Oscar Wilde)
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